lunedì, febbraio 09, 2004
Imparare a perdere
Anacronistico. In un mondo dove riconosco solo vincenti, gli altri sono oggetti di arredamento, punti di share in un programma insulso.
Superfluo. In un contesto in cui nessuno più considera l’eventualità di una sconfitta come un’occasione per giocare su altri campi.
Eppure è importante. Lo è per me.
Lo è per tutte le volte in cui prima di ricominciare da zero ho tracciato bilanci.
Per tutte le volte in cui ho capito che l’episodio non è che la scusa per rivedere scelte, priorità, equilibri.
Lo è fin da quella sfida a dama con mio padre (avevo sei anni) nella quale ero certo di aver capito tutto bene. Non è difficile capire il meccanismo. Il difficile è vincere, pensavo.
E infatti persi. Una volta, due, tre.
Implacabile, mio padre. Il “terminator” della scacchiera.
Ma io, ancora più testardo, tenevo duro. Dovevo vincere. Dovevo dimostrargli di essere all’altezza.
Continuammo così per ore, finché nella penombra del salotto, con un sorriso enigmatico pronunciò frasi più pesanti della scacchiera in marmo:
“Sei stato bravo. Hai imparato a giocare. Ora devi imparare a perdere. Rivincita?”
Quelle parole mi graffiarono come lame che solo chi ti ama davvero può estrarre dalla nuda roccia delle tue certezze.
Non ricordo di aver più giocato a dama con mio padre, ma di partite, su altri terreni, ne ho giocate e perse a centinaia.
Eppure ci sto ancora lavorando.
Ci sto provando.
Ne sono quasi certo:
imparerò anche a perdere.
Anacronistico. In un mondo dove riconosco solo vincenti, gli altri sono oggetti di arredamento, punti di share in un programma insulso.
Superfluo. In un contesto in cui nessuno più considera l’eventualità di una sconfitta come un’occasione per giocare su altri campi.
Eppure è importante. Lo è per me.
Lo è per tutte le volte in cui prima di ricominciare da zero ho tracciato bilanci.
Per tutte le volte in cui ho capito che l’episodio non è che la scusa per rivedere scelte, priorità, equilibri.
Lo è fin da quella sfida a dama con mio padre (avevo sei anni) nella quale ero certo di aver capito tutto bene. Non è difficile capire il meccanismo. Il difficile è vincere, pensavo.
E infatti persi. Una volta, due, tre.
Implacabile, mio padre. Il “terminator” della scacchiera.
Ma io, ancora più testardo, tenevo duro. Dovevo vincere. Dovevo dimostrargli di essere all’altezza.
Continuammo così per ore, finché nella penombra del salotto, con un sorriso enigmatico pronunciò frasi più pesanti della scacchiera in marmo:
“Sei stato bravo. Hai imparato a giocare. Ora devi imparare a perdere. Rivincita?”
Quelle parole mi graffiarono come lame che solo chi ti ama davvero può estrarre dalla nuda roccia delle tue certezze.
Non ricordo di aver più giocato a dama con mio padre, ma di partite, su altri terreni, ne ho giocate e perse a centinaia.
Eppure ci sto ancora lavorando.
Ci sto provando.
Ne sono quasi certo:
imparerò anche a perdere.